lunedì 28 marzo 2011

PORTRAIT D'UNE JEUNE FILLE



Devo ubriacarmi.
E’ una di quelle situazioni che mi annientano, più facile dare la colpa all’alcool. Un piano di fuga semplice con un complice perfetto: tutto quello di cui ho bisogno ora.
Non voglio star male per nessuno. Non starò male per nessuno.
Devo solo tagliar corto ed aprire quella fottuta bottiglia. Proprio quella... l’unico whiskey che bevo, l’unico uomo che ho bevuto.
Penso troppo. Verso. Prosit.

Il miele di trifoglio fa la differenza.
Lo sento mentre mi attraversa finché non mando giù.
Il miele rende tutto così caldo e persistente.
La bocca si apre dirompente, la lingua accarezza decisa il palato, è intenso già dalla pronuncia e scende dolcemente.
Ancora ancora e ancora.
Mi è sempre piaciuto scomporre i sapori e mi diverto a isolarlo mentre mi riscalda la gola.
E’ miele.
Sento il caramello. Scende. 
Sento l’erica. Scende.
Sento lo spirito. Scende.
Fino a quando non sento più niente.
Sono io a scendere adesso, in uno stordimento che mi inghiotte rapido e non ha nulla di dolce.

Apro gli occhi di scatto.
“Che ora è?”
Allungo la mano, il cellulare accanto a me.
Devo smetterla di dormirci sopra o mi verrà un cancro.
E’ scritto su ogni rivista di terz’ordine. Dunque sarà pur vero.
Metto a fuoco lo schermo: pensavo peggio.
Mi tiro su, e il distillato di miele risputa la sua irruenza nel mal di testa del secolo.
Accendo una sigaretta.
Pacchetto nero, quelle di Kurt, ora come al liceo. Chissà se si è fumato l’ultima prima di farsi saltare la testa.
Le persone fumano sempre prima di decidere. Ed io non ho deciso un bel niente, così mi regalo altri cinque minuti di limbo-nicotina. Altro complice perfetto.

Bip-Bip.
E-mail.
La mela si illumina. La sigaretta si spegne. Il mio sguardo anche.
Su righe che non voglio leggere.
Odore di caffè.
Il tempo di una doccia.
Voglio lavarmi di dosso tutto questo, sentire l’acqua sul mio corpo ed uscire di qui.
“A cosa pensi, piccola?”
Mi piaceva mi chiamasse così, mi faceva sentire protetta.
Nessun altro mi ha più chiamata così.
Piccola.
“A te, più di quanto immagini. Siamo così simili”.
La risposta studiata che non ho mai dato.
Dovrò lavare via anche la sua bellissima voce se continua così.
Uscire dalla tana.





SECONDA VENUTA DI CRISTO



Ma ora sono altre le voci, le sento dalla stanza. Cerco di capire quanti sono, senza successo.
Mi danno fastidio i loro toni che si mescolano, a volume alto. Odio le persone che urlano. 
Nel rumore mi isolo, nei toni di voce mi confondo.
Una partita a tennis tra intolleranza e distrazione.
Ma la pallina è caduta e l’arbitro ha fischiato il set.
Allungo la mano verso la sedia, coperta da una catasta di vestiti. Devo infilarmi qualcosa. Afferro d’istinto, a caso. No, questo no. Non è il momento. Non ancora almeno. Lo lascio andare e sorrido.
Il mio kimono ricade adagio su se stesso.
Questo va bene.
Me lo son messo all’ultimo pranzo fatto con i suoi.
Tailleur in raso color azzurro polvere.
La giacca con un solo bottone, quattro tasche con pattina applicate sul davanti, chiuse da bottoni dorati decorati dal profilo di Coco Chanel.
Quel giorno erano piene di bustine da un grammo l’una.
La gonna con due tasche sul davanti chiusa da cerniera e gancetto.
Avevo tolto il gancetto.
Mi piaceva l’idea che potessi sembrare meno protetta.
Un colpo e via tutto.
Poi non era così, però mi piaceva l’idea.
E piaceva anche a suo padre a quanto avevo potuto notare.
Quanto gli sarebbe piaciuto ficcarmi la mano sotto la gonna.
L’idea di lui che mi fruga nella figa e col pollice neanche troppo delicatamente mi sonda il culo non mi turba neanche.
Anzi mi si bagna solo al pensiero.
Mi sarei fatta sbattere ben bene.
Il fatto è che mi si smonta la libido se ripenso ai fischi col naso nelle orecchie quando comincia ad eccitarsi.
Non che sia mai successo del dito in culo e del frugare cavernicolo.
Ma un paio di volte, da dietro con la scusa dello ”sparecchiamo insieme vengo di là con te, te lo appoggio mentre posi i piatti nel lavandino e tu non parli altrimenti fai una figuraccia”, provandomi a baciare il collo, e’ esploso con un 1-2 annfff-fiiii annfff-fiiii che è risucito a farmela asciugare come neanche la figa di mia nonna.
Ai suoi occhi ero la puttanella del figlio.
Quindi di diritto anche la sua figa-bocca-culo qualora lui o sua moglie avessero abbassato un attimo la guardia.
Peccato che abbia capito subito al primo pizzico strizzapalle.
Indosso il capo e con lo sguardo cerco le scarpe.
Dove cazzo le ho messe...eccola...manca la destra.
Alzo la coperta sotto al letto...nulla...
Sono in ritardo.
Trovata, brutta sinistra del cazzo...dentro al cesto della carta da origami dovevi finire?
E certo...ti ho buttata io ieri notte...che scema.
Ogni volta che uno mi fionda sul letto la destra mi parte al primo colpo e rimane in zona “piedi del letto”.
La sinistra mi costringe sempre al lancio della scarpa sul muro...mi si impiglia l’alluce e devo dare un colpo secco.
Poco importa...mi ha sbattuto a dovere...non ricordo neanche perché se ne sia andato senza salutare...eppure il pompino era da urlo.
Mi avesse esaminato la commissione del condominio mi avrebbe dato un bel 10.
Peccato fosse presente alla scena solo il Signor Vinciarelli dell’appartamento di fronte.
Lui ed il suo binocolo del cazzo...da come è venuto sul vetro penso mi abbia dato non meno di 9.
Bang bang.